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ATTENZIONE SPOILER!

martyrs

Martyrs è un film francese del 2009 diretto da Pascal Laugier e, per ogni appassionato di cinema horror che si rispetti, questa pellicola è un tassello fondamentale perché ha segnato un punto di non ritorno nel cosiddetto genere “torture porn”.
Il film di Pascal (I bambini di Cold Rock, 2012) è spiazzante e disorienta lo spettatore catapultandolo in un vortice di orrori senza fine. La sceneggiatura è strutturata in modo particolare; Laugier mostra le sue carte una per una man mano che si procede nella visione. Ogni segmento narrativo contribuisce a portare avanti un’analisi accurata delle varie forme con le quali viene a manifestarsi il dolore e, dato che stiamo parlando di cinema, la complessa struttura concettuale della sceneggiatura si riflette sulle metodologie di rappresentazione ad esse legate. Partiamo con ordine:

PRIMA PARTE

Nell’incipit del film veniamo subito a conoscenza della triste storia di Lucie: una ragazzina di dieci anni, scomparsa alcuni mesi prima, che viene ritrovata mentre cammina per la strada in stato catatonico. Il suo corpo porta terribili segni di aggressione ma non c’è alcuna traccia di violenza sessuale.

parte prima 1

Accolta in un orfanatrofio, Lucie, matura un profondo legame d’amicizia con Anna, sua coetanea, e proprio quest’ultima diventerà una figura molto importante durante lo svolgersi della vicenda. 15 anni dopo, infatti, Anna aiuterà Lucie, ormai tormentata dalle strane visioni di una donna orrendamente sfregiata e mutilata, a trovare la casa nella quale da piccola era stata imprigionata e seviziata prima che riuscisse fortuitamente a scappare. A questo punto del film Pascal costruisce un raffinato e accattivante gioco linguistico per disorientare lo spettatore: la soggettiva di una presenza intenta ad inseguire una ragazzina che, urlando, sta correndo giù per le scale verso il piano terra della villa incriminata. Non appena la presenza misteriosa riesce ad afferrare la ragazzina, quest’ultima inizia a ridere e scopriamo che la soggettiva appartiene, in realtà, al fratello maggiore che si sta vendicando “amorevolmente” della sorella a causa di un’innocua scaramuccia e il tutto viene interrotto dal padre che li riprende con affetto invitandoli a sedersi a tavola per la colazione. Il luogo del presunto rapimento di Lucie e delle sue torture, apparentemente, è abitato da una comunissima famiglia simile a quelle che spesso ci capita di vedere nelle pubblicità della “Mulino bianco”. Il ruolo della soggettiva funge da monito, un messaggio criptato da parte del regista rivolto agli spettatori: attenzione a quello che state guardando, nulla è come sembra! Pare volerci dire questo se prendiamo in analisi tutti gli snodi e i ribaltamenti di prospettiva ai quali Pascal sottoporrà da qui in poi l’intreccio e la struttura della sua pellicola. A questo punto Lucie riconosce nell’amorevole madre il suo aguzzino e irrompe nella casa con un fucile a canne mozze compiendo una strage a sangue freddo mentre Anna rimane fuori ad aspettarla inconsapevole dell’orribile impulsività della compagna.

parte prima 3

Il sociologo Luc Boltanski affrontando la questione specifica delle tipologie di rappresentazione della sofferenza nei media e delle modalità con le quali gli spettatori si interfacciano ad essa ha elaborato tre topiche: la topica della denuncia, quella del sentimento e quella dell’estetica. In questo passaggio della pellicola Pascal tocca il primo punto ovvero la topica della denuncia che chiama in causa il concetto di pietà in una declinazione particolaristica nella quale l’emozione si distacca dall’infelice, in questo caso Lucie ovvero la vittima in questione, per puntare in direzione di un persecutore che viene accusato, in questo caso la madre e la sua famiglia. Ciò è dovuto anche al fatto che presto veniamo a scoprire che effettivamente la donna assassinata insieme ai suoi figli e al marito era davvero coinvolta nelle atrocità alle quali è stata sottoposta Lucie da piccola e, quindi, a buon ragione desiderosa di vendicarsi. In questo primo punto lo spettatore è portato a parteggiare per quest’ultima travolto da un sentimento di indignazione.

SECONDA PARTE

Anna si precipita a soccorrere la famiglia trucidata da Lucie ma ormai è troppo tardi. Pur non condividendo il gesto dell’amica decide di aiutarla a seppellire i corpi mentre titubante si domanda se sia il caso di chiamare la polizia e denunciarla, sebbene le voglia un gran bene. Lucie dopo essersi vendicata continua ad essere tormentata dalle visioni della donna che la spingono a togliersi la vita( la donna è una proiezione del senso di colpa: da bambina Lucie quando riuscì a liberarsi e a scappare, nonostante avesse visto la stessa donna venire torturata non la liberò e decise di scappare). Anna, sconvolta, assiste alla scena e si ritrova costretta a dover seppellire pure la sua amica, compagna di tutta una vita. Rimasta da sola, per puro caso, Anna scopre una botola segreta all’interno della villa trovando una donna incatenata con entrambi gli occhi oscurati da una fascia di metallo inchiodata al cranio, completamente nuda con il corpo ricoperto interamente da piaghe e ferite. Al contrario di Lucie, invece di scappare terrorizzata alla vista di questo essere quasi tramutato in un mostro orripilante ormai privo di quei tratti umanizzanti che un tempo l’avrebbero caratterizzata come essere umano, tenta di salvarla liberandola dalla fascia di metallo ridonandole la vista e occupandosi del suo corpo fustigato e malmesso.

seconda parte 1

A questo punto del racconto l’attenzione viene focalizzata interamente sul personaggio di Anna ed è esattamente qui che entra in gioco la topica del sentimento teorizzata da Boltanski: la commozione si distacca dall’infelice (in questo caso la donna con la fascia di metallo) ignora il persecutore (ipotizzando sia opera dei coniugi residenti nella medesima villa appena giustiziati da Lucie nella prima parte) per far valere la presenza di un benefattore, ovvero Anna che con la sua bontà di cuore prima si è occupata per tutta la vita di aiutare Lucie nella ricerca dei colpevoli e ora sta soccorrendo la povera donna imprigionata e fustigata. Lo spettatore è toccato dal sentimento genuino e altruistico del personaggio di Anna abbandonando il rancore appena provato insieme al personaggio di Lucie.

TERZA PARTE

Nel terzo atto Pascal rimescola ulteriormente le carte in gioco portandoci nel vero e proprio abisso dell’orrore, puro e autentico, e lo analizza minuziosamente esaltandolo e allo stesso tempo anestetizzandolo.
Un gruppo di uomini armati sotto la guida di un’anziana signora irrompe nell’abitazione e, prima uccide a sangue freddo la donna sotto le cure di Anna, poi la imprigiona nella sezione nascosta sotto la casa collegata a quest’ultima tramite la botola scoperta da Anna poco prima.
Scopriamo a questo punto che sia Lucie che la ragazza soccorsa da Anna sono state fatte prigioniere da questa setta segreta che da anni rapisce ragazze col fine di torturarle e fare di loro dei martiri. Il termine “martire” , infatti, significa testimone; un testimone che, una volta raggiunta quella soglia del dolore sospesa tra la vita e la morte, è in grado di raccontare e, appunto, testimoniare cosa ci aspetta alla fine delle nostre esistenze. Per Anna inizia la lunga e dolorosa discesa verso l’inferno. Il suo corpo viene torturato e sottoposto a brutali atrocità perpetrate dalla setta (sempre sotto la copertura di una normale coppia sposata che prende il posto della famiglia assassinata da Lucie) con un asettico e razionale sadismo; un sadismo non fine a se stesso ma con lo scopo di creare il martire perfetto da anni agognato dall’anziana signora a capo della setta. Anna dopo un infinito ciclo di torture riesce a raggiungere lo stato di martire, accetta il dolore lo fa entrare dentro se stessa fino a trasfigurare.

terza parte 4

L’anziana signora riconosce negli occhi di Anna la luce, la stessa luce presente nello sguardo di tutte le foto di martiri collezionate nel corridoio sotterraneo della villa che conduce alle stanze delle torture. La setta, dunque, raduna nell’abitazione un consistente gruppo di nobili anziani signori finanziatori del progetto “martire”, desiderosi di sapere la verità riguardo alla vita dopo la morte così da poter finalmente raccogliere i frutti del loro investimento. Anna, ormai “martirizzata”, immersa in uno stato di trance sussurra all’orecchio dell’anziana signora la sua “testimonianza”.

terza parte 3

Quest’ultima, appena prima di rivelare a tutti gli altri membri finanziatori del progetto, la scoperta, si toglie la vita. Entriamo, dunque, in merito della terza strada ricavata da Boltanski, la topica dell’estetica che si collega al concetto di sublime. La sofferenza dell’infelice, ovvero di Anna, grazie alla rappresentazione portata fino all’estremo da Pascal non viene considerata né come ingiusta né come commovente ma, appunto, come sublime. Secondo Kant il sublime non può essere contenuto in nessuna forma sensibile, esso, infatti, riguarda solo le idee della ragione che sono risvegliate ed evocate nell’animo proprio da questa inadeguatezza. Grazie all’apporto teorico di Pietro Montani e del suo “L’immaginazione intermediale – Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile”, in luce di quanto accennato qui sopra, la rappresentazione del dolore e della sofferenza secondo questa accezione passa per due paradigmi. Il primo è il paradigma dell’esibizione indiretta che converte l’impotenza dell’immaginazione in una risorsa simbolica di valenza universale . Infatti Pascal quando ci mostra la trasfigurazione di Anna in martire decide di condurre lo spettatore direttamente all’interno dell’occhio di quest’ultima; dentro la sua pupilla ci mostra una raffigurazione tanto stilizzata quanto banalizzata di una sorta di universo cosmico illuminato da una luce accecante che si allarga fino ad occupare l’intero schermo per poi fossilizzarsi nella pupilla di Anna. Il secondo invece è il paradigma dell’esibizione negativa che decreta il fallimento dell’immaginazione. Quando Anna svela la “grande testimonianza” all’anziana signora noi spettatori non sentiamo cosa le sta dicendo ne tanto meno lo veniamo a scoprire dato che l’unica detentrice della verità prima di comunicarci quanto ha sentito decide di togliersi la vita. Nel finale Pascal Laugier, nel suo tentativo estremo di indagare il dolore e la morte, non può fare altro che accettare la non rappresentabilità di un concetto talmente pregno di significazione da non poter essere né mostrato né svelato.

Martyrs nella sua complessa analisi della sofferenza, del dolore e della morte è forse uno dei pochissimi film dell’ultimo decennio ad aver raggiunto i più elevati picchi, sia in termini di qualità tecnica sia in termini di qualità a livello di contenuti, all’interno del panorama “horror” contemporaneo.